IL MINORENNE

 

NOTE DI REGIA

 

Denis Ivanovic Fonvizin (1744 ? - 1792) con il suo Mino­renne è, assieme a Gribojedov (L'ingegno che guaio!) e Gogol (L'ispettore generale), l'iniziatore del grande teatro russo.

Spirito illuminato, audace propugnatore della necessità di riforme nella sua Santa Russia, che pure tanto amava, era fatale arrivasse allo scontro con Caterina II, che vedeva nell'obbedienza la massima virtù dell'uomo e del carattere nazionale. Da un certo punto di vista, si può dire che Il minorenne rispecchi l'esperienza della vita pubblica dell'autore: segretario del sovrintendente ai teatri, Erlaghin, e poi amico e collaboratore del conte Nikita Panin, ministro degli esteri, caduto in disgrazia per le sue idee liberali in un paese dove non si poteva che essere "tiranni o schiavi".

Nella commedia Pravdin, funzionario del governatore -una figura vagamente affine all'ispettore di Gogol- è il portavoce di un ipotetico governo illuminiato che riu­scirà a sconfiggere la bestiale genìa degli Skotinin-Prostakov, rappresentanti ottusi e tirannici della pic­cola nobiltà terriera, che si vanta della sua violenza e della sua ignoranza come di consolidate virtù. Amico e maestro di Pravdin è Starodum -il nome dell' "a­mico della gente onesta", giornale che Fonvizin non riu­scirà a pubblicare -: "padre nobile" secondo tradizione teatrale, Starodum, dato per morto, piovuto dal cielo -più precisamente dalla Siberia- a risolvere la favola con il canonico matrimonio fra attori giovani. La sua 'resurrezione' è simbolo di tenace speranza nella virtù del 'buon tempo antico', e forse, insieme, della scarsa consistenza di questa speranza, visto il quasi-miracolo del suo ritorno in scena.

Questi personaggi non si riducono a puri porta-voce di una ideologia: la loro stessa fragile probabilità ce li rende ancora oggi abbastanza vicini: è evidente infatti che il "lieto fine", visto col senno di poi, è stato soltanto provvisorio; ma è certo che la forza poetica del testo nei personaggi negativi: gli Skotinin, più che i Prostakov, dato che la figura dominante è quella della madre-matriarca, evidente sorella dell'amante dei porci Skotinin, ed evidente genitrice e causa del figlio Mi­trofan, il minorenne, mentre il padre Prostakovè appena distinguibile nel suoo mimetismo di difesa. Si sa che i personaggi positivi, come i popoli felici, non hanno storia: amati con l'intelletto e la volontà dai loro autori, sono destinati ad essere offuscati dall'umore viscerale -e vergognoso- degli artisti per la loro autentica materia: in questo caso, proprio l'aspet­to ignobile di quella Santa Russia che Fonvizin voleva redimere. Che questi personaggi vivano eterni è probabilmente un brutto segno per i nostri pii desideri, ma certo un se­gno positivo per la buona salute della poesia.

La regia è, per così dire, 'assorbita' dalla mia ridu­zione: ho messo in rilievo i vari piani della storia, sottolineando con i recitativi le parti più convenziona­li della vicenda e con lo straniamento delle canzoni l'essenza dei personaggi o la morale della favola; so­prattutto con qualche battuta ho 'messo una pulce nell'orecchio' al pubblico: ipotesi e conclusioni del­l' autore sottoposte a critica possono acquistare una di­mensione comica; infine ho allungato e, spero arricchito, qualche scena: la lezione e l'esame di Mitrofan. La tra­duzione, espressamente studiata per il teatro, è di Ma­riolina Doria De Zuliani, che ancora ringrazio.

Arnaldo Momo

 

 

 

 
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