LE FEMMINE PUNTIGLIOSE


“Le Femmine Puntigliose” (1750) è uno dei testi goldoniani di più risentita critica sociale: la storia di una arrampicatrice borghese che vuole a tutti i costi essere ammessa alla conversazione delle dame; non la rappresentazione di un carattere di natura, dunque, ma di una condizione umana, prima della poetica formulata da Diderot.
Ne deriva che al centro non sta il personaggio e l’unità psicologica: in situazioni diverse possono esserci comportamenti anche contrastanti: una battuta di Florindo, modesto personaggio sottomesso alla moglie: “Tutti gli innocenti oppressi gridano vendetta contro i loro oppressori” la sottolineo con un gesto che è già neoclassico, alla David, tanto per intendersi: non mi preoccupo, come non si preoccupa Goldoni, che in altre scene Florindo si muova in modo sciatto, da piccolo borghese. Io amo definire questa recitazione cubista, nel senso che le varie superfici si rovesciano di volta in volta in primo piano, senza ricorrere all’unità del chiaroscuro.
Questo è ben diverso dalla stilizzazione: in ogni momento devono essere sottintese tutte le possibilità, non ci sono tableaux, l’attore deve muoversi liberamente, per fare due nomi, da Stanislawskij a Brecht.
Il testo non è stato modificato, salvo i tagli normali che hanno particolarmente snellito il secondo atto, del resto sulla traccia dell’edizione Bettinelli. Nonostante ciò, ho spostato nettamente il significato della commedia nel finale, dal compromesso ragionevole alla critica razionale. Oltre all’azione mimica aggiunta, ho dato al personaggio Ottavio la responsabilità dell’ultima battuta che tradizionalmente sintetizza anche il pensiero dell’Autore. E’ del resto significativo che Goldoni affidi quello che dovrebbe essere il suo messaggio al personaggio più scialbo, un eroe positivo ben povero, succube delle dame, che ha per ritornello: “Non parlo più”. Il fatto che è Goldoni si trova inuna situazione contraddittoria: da una parte il suo realismo di poet – e la critica razionale -, dall’altra i compromessi col “Mondo”: nel finale ho inteso liberare Goldoni da questa interna contraddizione.
Spero che questo discorso si sia realizzato nel mio lavoro, che vuole essere una interpretazione classica e non sperimentale del testo goldoniano, a meno di non intenderla sperimentale nel senso che si oppone ad una falsa tradizione; sarà bene però sapere che lo spettacolo è stato allestito con estrema povertà di mezzi.
Arnaldo Momo