SIOR TODERO BRONTOLON
Nel Todero, come nei Rusteghi, si rispecchia la borghesia
veneziana che ha perso l'antica audacia mercantile, ha tirato i remi
in barca e "co le porte serae", "co fa i balconi inchiodai", vive di
rendita facendo "i so negozietti seguri".
Ma mentre i Rusteghi -il titolo è el plurale- restano una
commedia corale che rappresenta non tanto un carattere quanto una
condizione sociale, nel Todero -il titolo è al singolare-
questa condizione si esprime in un personaggio solitario che trova,
nella società, la sua naturale interlocutrice nella "desmentega"
Marcolina, ma che, d'altro canto, per la sua aspirazione
all'immortalità, di cui sono conseguenza il suo egoismo e la sua
mancanza di "carità", ha il suo antagonista fuori di questo mondo,
in Dio.
Da ciò la grandezza di Todero, la sua dimensione tragica, inscindibile
dalla sua dimensione comica.
E' Todero che, in un certo senso, 'impone' una meditazione religiosa
alla 'laica' Marcolina, che trova, accanto alla parola "giustizia",
la parola cristiana "carità" come necessarie regolatrici dei
rapporti sociali; e una massima evangelica viene citata persino dal
servo Gregorio, che fa con Todero una memorabile coppia di vecchi e
di servo e padrone. La commedia finisce con la sconfitta di Todero
che sarà superato dagli avvenimenti, conoscendo la tragica impotenza
dei vecchi. Occasione e artefici della sua sconfitta sono Fortunata
e Meneghetto, due personaggi che sembrano venire da un altro mondo,
quasi incarnazione del sogno di Marcolina. Meneghetto, così, perde
le sue tradizionali caratteristiche di 'fine dicitore', per
diventare il rappresentante di un mondo guidato dal 'rispetto', una
borghese traduzione della "giustizia" e "carità" di Marcolina. Sarà
appunto Meneghetto a prendere il posto del figlio di Todero,
Pellegrin, che rappresenta la tragicomica situazione di una
generazione soffocata dai padri tiranni e dalle donne, forze
emergenti in una società che invano cerca di salvarsi nella
arteriosclerotica ripetizione di se stessa. Goldoni, che ha
riformato il suo "Teatro" mettendo in scena il "Mondo", non
rappresenta mai dei valori 'assoluti': la "carità" di Marcolina ha
in tal modo i suoi limiti nei confini del suo 'stato': senza
scrupoli, assieme a Fortunata, porterà via il figlio al 'cattivo'
Desiderio, che rappresenta il male, non tanto in qualità di agente
infedele di Todero, quanto piuttosto come spirante ad un grado che
violerebbe l'ordine della società. La condanna di Desiderio, più che
una predestinazione di natura, nasce dalla sua 'condizione sociale',
il carattere che Goldoni scopre precedendo Diderot. Non per nulla
la più 'semplice' e 'simpatica' è proprio la cameriera Cecilia che
ragionevolmente aspira a godere dei beni della vita e della natura.
Una 'pesante' lettura del testo goldoniano esclude la troppo facile
comicità, 'aggiunta' da una tradizione teatrale, degna tuttavia di
rispetto, e capace di insegnamenti, una tradizione che nasce, del
resto, dalla stessa pratica teatrale, della quale Goldoni tiene ben
conto. In tal senso possono essere un 'problema' i due 'Mametti'
Zanetta e Nicoletto; ma Zanetta non è poi quella "gnègnè" che dice
la madre e fa sentire le sue ragioni di ragazza innamorata; e
Nicoletto può essere un 'Mametto' non solo perché non sa, ma anche
perché non sapendo, è inconsapevole voce della cecità sessuale.
Arnaldo Momo