IL CAMPIELLO

 

NOTE DI REGIA

 

IL CAMPIELLO, "Commedia Veneziana in Versi drammatici fu per la prima volta rappresentata in Venezia nel Carnovale dell'anno 1756". La commedia ebbe esito felicissimo non solo a Venezia, ma, con meraviglia dello stesso Goldoni, anche in luoghi dove il dialetto veneziano era poco conosciuto. Il fatto è che, nonostante sia scritta in un dialetto che rispecchia le "frasi ordinarissime della plebe, e verta sopra i costumi di cotal gente", questa commedia ha "una tal verità che si conosce comunque da tutti" (Prefazione): quella verità quotidiana, insieme, ed eterna, in cui sta il segreto della poesia goldoniana.

Il Campiello è scritto in versi, ma non "i soliti Martelliani, ma versi liberi di sette e di undici piedi, rimati e non rimati a piacere, secondo l'uso dei drammi che si chiamano musicali". Già la scelta del metro, che rifiuta la gabbia dei doppi settenari a rima baciata, è una scelta di libertà; come è una scelta di libertà il luogo e il soggetto stesso dell'azione: il campiello: luogo di 'soggiorno' del popolo che si oppone al salotto borghese dove è maleducazione alzare la voce; qui, in questo luogo privato e insieme pubblico, perfino le maldicenze non sono sussurrate, ma gridate, da casa a casa, un 'segreto' che appartiene all'intera comunità.

Non più un personaggio, un 'carattere', dunque, come protagonista di questa commedia, ma un ambiente ed una condizione sociale: è questa la sostanza da cui nasce la musica goldoniana: non un 'puro' rapporto musicale, ma, all'opposto, espressione poetica di voci 'reali' che trovano consonanze e contrappunti in uno stesso slancio vitale, in una concorde concezione della vita.

Più che di azione sarebbe forse meglio, per il Campiello, parlare di movimento: uno interno alla comunità e uno esterno. Tutti i personaggi che appartengono di diritto al Campiello sembrano trascinati dalla repentina folata di un vento impetuoso: l'amore di Lucietta che non ascolta ragione e ragioni, e, all'altro estremo della vita, il diritto al piacere delle vecchie cui la mancanza di denti non ha tolto l'appetito, ma lo ha reso, perse le risorse del sorriso, più essenziale e scoperto.

In questo senso, il Campiello è una commedia violenta: non c'è tempo da perdere: "Eh, co son so mario, sngue de Diana, che la gh'ha fenio" (V,8), è il 'programma' del geloso Anzoletto per la 'sua' Lucietta, che ha ballato felice nel giorno delle nozze; per lei -e per tutto il Campiello- si potrebbe parafrasare un celebre titolo: ha ballato una sola giornata.

C'è poi, nel Campiello, un altro 'movimento', quello di coloro che a quel mondo non appartengono, ma vi si intrecciano occasionalmente: dal Campiello non vede l'ora di evadere Fabrizio, un tranquillo borghese che non sopporta il dialogo 'en plein air' delle popolane; mentre nel Campiello cala come un nibbio in cerca di gallinelle il Cavaliere; che poi dal Campiello, per contrappasso, verrà sfruttato a dovere: "Or che ciascuno è sazio,/ Non mi hanno detto nemmeno: vi ringrazio" (IV,8). La solitudine è la pena che gli fa pagare la comunità, ben legata e solida nonostante le rapide baruffe che non lasciano segno.

C'è infine Gasparina, questa piccola Madame Bovary che "vuol volar sanz'ali"; la sua dizione -"parlando usa la lettera Z in luogo dell'S"- à un patetico tentativo di dimostrare la sua nobiltà: "Me zento un non zo che de nobiltà" (IV,5). Gasparina si sposerà poi con il Cavaliere, e raggiungerà così il sogno di essere titolata; ma noi sappiamo che dietro le sue nozze c'è il calcolo del Cavaliere spiantato che ha bisogno della dote, e il calcolo dello zio Fabrizio che non vede l'ora di sbolognarla: è probabile che anche per Gasparina il ballo, chiusa la giornata che è il tempo classico del Campiello, sia finito.

Certo, il Campiello è una commedia di grande comicità, ma la grande comicità ha uno spessore che comporta un'ombra: "El spasso xe fenio./ El tempo se fa scuro."(I,1).

 

Arnaldo Momo

 

 
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